Esiste un libro che oggi, purtroppo, non è facile trovare sugli scaffali delle librerie; si intitola “Baracca 15C” e non è altro che il diario di una prigionia: giovanissimi soldati italiani trattenuti dagli austriaci dopo la disfatta di Caporetto a Celle-Lager, vicino alla cittadina di Hannover.

Nell’angusto spazio del casotto – allora giovanissimi e completamente inediti – ebbero modo di conoscersi e condividere i mesi della detenzione tre autori che poi sarebbero diventati alcuni tra i principali rappresentanti del mondo letterario italiano: parliamo di Carlo Emilio Gadda, Ugo Betti e Bonaventura Tecchi, l’autore del libro. Vi dicono nulla? Immagino di sì, eh 😉

Chi era Bonaventura Tecchi? “Un signore del Lazio, al confine umbro: Bonaventura da Bagnorea”; così ce lo descrive stringatamente Gadda nelle sue “Note autobiografiche” giocando con l’omonimo di Tecchi, San Bonaventura, altro illustre figlio di Bagnoregio.

Tecchi fu un prolifico scrittore e in molte delle sue opere di narrativa inserisce il borgo natale, sebbene mai citandolo esplicitamente; le atmosfere rarefatte della Valle dei Calanchi fanno da sfondo negli intrecci dei suoi romanzi; la terra non è altro che un utero dal quale è impossibile allontanarsi sebbene la vita e gli interessi lo portarono lontano dalla Tuscia, in Germania ad esempio.

A Tecchi dobbiamo l’appellativo di “città che muore” per Civita di Bagnoregio; ma Civita… muore?
Negli ultimi anni, grazie alla virtuosa amministrazione del sindaco Francesco Bigiotti prima e Luca Profili adesso, il borgo è diventato un vero e proprio attrattore turistico; un turismo, c’è da dire, ben gestito e rispettoso delle molte criticità insite nel territorio così suggestivo ma fragile e delicato.

Ci piaceva ricordare che -sebbene la bellezza paesaggistica è evidente e preponderante- Bagnoregio e Civita sono molto altro: lì passarono gli Etruschi, i Romani, i Longobardi, gli Spagnoli ed i Francesi; è dove nacquero Bonaventura Tecchi e Bonaventura di Giovanni Fidanza, santo della Chiesa Cattolica, dove Fellini girò alcune scene dell’indimenticabile “La strada”, capolavoro del neorealismo italiano.

Non solo “fatua” bellezza quindi ma storia, arte, cinema e letteratura insieme alle trame della vita dura e faticosa di contadini e pastori; ecco perché questo luogo è probabilmente il diamante della corona che è la Tuscia.

Vi lasciamo il link se vorrete approfondire: https://cellelager.com/info/

Anonimo

Scritto da:

Viola Vagnoni

Nella vita vorrei fare tre cose: dormire, mangiare e vedere/leggere fiction.
Se però mi trovate qui vuol dire che ne ho aggiunta una quarta ovverosia scrivicchiare.
Mi pare lapalissiano che non volevo farlo ma la vita è per la maggior parte composta da cose che non si vogliono fare.
Ci sono poi state anche altre aggiunte fastidiose alla sacra triade: una laurea in filologia moderna, un lavoro a tempo pieno, una casa da gestire (male), la fantasticheria buffa di voler fare la professorona.
Ma chi me lo fa fare di alzarmi la mattina, guardate.