Alto su rupe,
battuto dai venti,
un cimitero frondeggia: cristiana oasi nel tartaro etrusco.
Là sotto è la fanciulla
bellissima dei Velcha,
che vive ancora nella tomba dell’Orco.
È il giaciglio gentile
della Pulzella
poco discosto.
Legioni di morti calarono
in quell’antica terra ove sperai
dormire un giorno e rimetter radici. […]

Così scriveva il poeta Vincenzo Cardarelli nella lirica “Nostalgia”, dedicata al suo paese natale. Il cimitero è quello nuovo di Tarquinia: sotto le tombe di un’epoca recente, se ne trova una che ha scavalcato i millenni ed è giunta fino a noi con i suoi misteriosi messaggi. È la Tomba dell’Orco.

Nel piccolo affresco, che emerge vivido dal fondo indistinto e incolore lasciato dal tempo nella camera funeraria, spicca l’immagine di una splendida donna, ritratta di profilo. Ha un mantello bordato di rosso, i capelli rosso tiziano, acconciati con una corona di alloro. Occhi grandi da cerbiatta, naso dalle linee greche, labbra morbide e sensuali. Lo sguardo però, è triste. Chi è la ragazza ritratta nella Tomba dell’Orco, ritrovata nel 1868 nei dintorni di Tarquinia? E perché la sua tristezza ha valicato i millenni ed è giunta fino ai nostri occhi?

Lei si chiamava Velia Spurinna, ed era la nipote di Velthur il Grande, condottiero etrusco che aveva sconfitto i Greci durante l’assedio di Siracusa. Suo fratello Avle aveva affrontato e vinto Roma. Velia apparteneva dunque ad una famiglia aristocratica e gloriosa, e aveva diritto a un marito altrettanto importante, Arnth Velcha. Sposandolo assunse il suo cognome, ed entrò a far parte di una nobile famiglia di magistrati, tanto importanti che quando dovevano spostarsi venivano scortati dai littori con i fasci e le asce bipenne: emblemi del massimo potere che da Tarquinia approdarono a Roma e poi, di recente, alla simbologia fascista.

Velia Velcha morì giovanissima, lasciando straziati dal dolore i suoi familiari, che la seppellirono in una tomba sfarzosa e dipinta. Nell’affresco, come un ombra spaventosa, l’Orco che dà il nome al sepolcro: un mostro dal volto bluastro e dalle grandi ali, serpenti fra i capelli e un naso a becco. È il demone Charun, il traghettatore che conduce le anime nel loro viaggio nell’Ade. Charun brandisce il pesante maglio con il quale toglieva la vita ai mortali. Velia è triste, perché ha dovuto lasciare anzitempo la sua vita di sposa e di amatissima figlia, e deve incamminarsi lungo i misteriosi sentieri dell’Aldilà.

Sorridi, Velia: la tua bellezza ha resistito attraverso migliaia di anni, e riesce ancora ad incantarci e a sedurci. Sorridi, perché è questo che rende gli umani immortali: quel misterioso intreccio di sangue che scavalca gli oceani del tempo, e permette che qualcosa di te viva ancora in noi, lontanissimi discendenti del tuo popolo. Qualcuno ti ha chiamato la Monna Lisa etrusca: di certo il tuo ritratto è un capolavoro senza tempo.

la foto è tratta dal sito www.etruschi.name

Anonimo

Scritto da:

Donatella Agostini

Imparare cose nuove è il mio filo conduttore, darmi sempre nuovi obiettivi la mia caratteristica fondamentale. Valorizzare la terra in cui vivo è il mio progetto attuale.