Anche se faceva molto freddo Robertino tardava a tornare a casa; giocava coi coetanei nella via e, sebbene in quel febbraio il clima era rigido più del solito, lui nemmeno si accorgeva del pizzicore alle guance rese rosse dall’aria gelida.

Correva a perdifiato e sbirciava in ogni portone perché era stato il suo turno di ammucciarsi per contare a nascondino e gli altri amichetti della brigata si erano tutti nascosti. Doveva trovarli prima che arrivasse l’ultimo, quello del tana libera tutti che lo avrebbe costretto a ricontare. Che noia contare a nascondino, di certo è meglio nascondersi.

Tutte le sue aspettative da segugio vennero disattese però quando sentì mamma Rina affacciarsi alla finestra e urlare il suo nome con tutto il fiato nei polmoni: “Robberto! Robbè! è pronta la cena!”Quello era l’ordine supremo, non c’era appello. Il bimbo comunicò a gran voce che si poteva uscire dai nascondigli perché lui sarebbe dovuto tornare a casa, il gioco era finito.

Erano le 19 in punto del 6 febbraio 1971. Di buona lena salì in casa e si appostò a tavola, colto all’improvviso da una fame lupesca. Mamma Rina iniziò a riempire i piatti dalla grossa pentola che aveva appoggiato sul suo lato della tavola. La carbonara fumava lussuriosa e, con l’acquolina in bocca, il piccolo vagheggiava su quando sarebbe stato grande abbastanza da potersi permettere quelle porzioni gigantesche che la mamma preparava al babbo. “Roberto, quante volte te lo devo dire che non voglio chiamarti più e che alle 18e30 ti voglio in c…

Lo rimproverava bonariamente così mamma Rina quando fu interrotta da un boato pazzesco che coprì ogni parola e anche le urla che seguirono, tutto fu coperto dal rumore dei muri che tremano e poi crollano e dai lampadari che traballano e magari si staccano e dai tavolini spostati in fretta per nascondercisi sotto.

Roberto quella sera non gustò la carbonara della mamma. Nessuno la gustò. I cadaveri della famiglia vennero estratti dalle macerie qualche ora dopo da un allievo della Scuola Sottufficiali dell’Esercito di Viterbo. Maria, la sorellina, stringeva in mano la forchetta.

Questo racconto di fiction vuole introdurvi al terremoto che avvenne a Tuscania e Tarquinia alle 19e09 del 6 febbraio 1971. Vi furono 31 morti ed un centinaio di feriti mentre i due paesi furono abbastanza distrutti, a Tuscania crollò la chiesa di San Pietro e la Basilica di Santa Maria Maggiore. Nel 1995 venne conferita la medaglia d’argento al valor militare alla scuola SSE, ex SAS, di Viterbo per l’aiuto che i militari lì di stanza diedero alla cittadinanza.Oggi 2 giungo si sarebbe dovuta tenere la parata militare ai Fori ma inevitabilmente si è dovuta annullare. Ma anche Viterbo, come è ben noto, ha una storia di città militare ospitando molte caserme e scuole per allievi di esercito ed aeronautica. Sono molti gli italiani che hanno conosciuto la città dei Papi perché qui hanno trascorso gli anni della formazione.

Anonimo

Scritto da:

Viola Vagnoni

Nella vita vorrei fare tre cose: dormire, mangiare e vedere/leggere fiction.
Se però mi trovate qui vuol dire che ne ho aggiunta una quarta ovverosia scrivicchiare.
Mi pare lapalissiano che non volevo farlo ma la vita è per la maggior parte composta da cose che non si vogliono fare.
Ci sono poi state anche altre aggiunte fastidiose alla sacra triade: una laurea in filologia moderna, un lavoro a tempo pieno, una casa da gestire (male), la fantasticheria buffa di voler fare la professorona.
Ma chi me lo fa fare di alzarmi la mattina, guardate.