Sono stata una studentessa del liceo Mariano Buratti di Viterbo per 5 anni; ogni mattina, prima di entrare in classe, per forza di cose lo sguardo mi cadeva su questa scritta situata all’ingresso della scuola:
Qui libero nello spirito
oppresso nell’azione
Mariano Buratti
professore di storia e filosofia
profuse il suo sapere
in ispregio alle paure
contro le tirannie
torturato e ucciso dai nazifascisti
vive per sempre e fulgido
il suo pensiero.
Roma, Forte Bravetta, 31 Gennaio 1944
Devo ammetterlo, ma in quel periodo non mi sono mai soffermata a riflettere sul significato di queste parole, forse ancora troppo astratte per un’adolescente impegnata a districarsi tra compiti e interrogazioni. Oggi tuttavia, qualche libro di storia dopo e con qualche anno in più sulle spalle, sono qui a raccontarvi chi era quest’uomo a cui è stato intitolato quello stesso edificio che negli anni del Fascismo era noto come Casa Balilla (se guardate bene sulla facciata della scuola la denominazione è ancora visibile, nonostante le cancellature).
Mariano Buratti nacque a Bassano Romano nel 1902 e all’età di 22 anni entrò nella guardia di finanza come sottobrigadiere, mantenendo comunque viva la sua vocazione all’insegnamento: dapprima esercitò nelle scuole elementari, poi divenne professore di storia e filosofia al liceo Umberto I (quello che attualmente porta il suo nome).
In seguito alla morte della figlia e della moglie incinta, si arruolò e partecipò alla guerra d’Africa.
Quando rientrò a Viterbo, riprese l’attività d’insegnante e la divisa della guardia di finanza e si costruì una nuova famiglia. Dopo l’8 settembre 1943, Mariano Buratti organizzò clandestinamente una banda partigiana, la Banda Buratti, che operava sui Monti Cimini; tuttavia, il 13 dicembre di quello stesso anno venne catturato dai nazifascisti, incarcerato al Raegina Coeli di Roma e, dopo settimane di agonia e torture, fucilato al Forte Bravetta.
Nel 1944 gli venne conferita la medaglia d’oro al valor militare.
Mariano Buratti era un uomo giovane e pieno di vita, amante della cultura e della trasmissione del sapere; è stato fucilato da quella “banalità del male” che non conosce né amore né perdono. Ma quella scritta lì, all’ingresso della scuola, a cui forse in pochi fanno davvero caso, serve a ricordarci che è anche merito suo se oggi siamo
liberi nello spirito
liberi nell’azione.