RaccontiAmo Viterbo è nata per raccontare le bellezze della nostra Tuscia. Ma il suo scopo è anche quello di far sì che i suoi abitanti diventino pienamente coscienti della sua bellezza, della ricchezza del suo paesaggio, dei tesori storici, artistici ed archeologici che custodisce. E’ un patrimonio prezioso e fragile che va protetto, per poterlo offrire come dono a noi stessi e ai turisti in visita.
Però oggi voglio pubblicare un articolo sulla bruttezza. Ma come, direte voi, vuoi parlare del brutto?! Come possiamo propagandare il nostro territorio, se mostri al mondo quanto di più brutto lo deturpa? Nascondiamolo – piuttosto – impediamo che altri sappiano della sua esistenza!…
Eppure un pezzo sulla bruttezza ci sta tutto. Perché essere consapevoli delle bellezze del nostro territorio significa anche smettere di essere indifferenti a quanto lo rovina, lo sfigura, lo guasta. Come l’ecomostro del Riello. Inutile far finta che non esista: è lì, da quasi un decennio, a fare gli onori di casa a quanti vengono a Viterbo provenendo da Tuscania.
Settantaquattro mila metri quadrati di cemento alieno, uno scheletro multipiano che richiama miseramente le circolarità degli antichi anfiteatri. Costruito a metà e rimasto in sospeso, forse brutto anche se ultimato. Avrebbe dovuto essere un ennesimo centro commerciale (un altro!!). Invece è un cantiere deserto e le gru, i ponteggi e i mezzi meccanici arrugginiscono tristemente sotto le intemperie da quasi dieci anni: l’ennesima ferita inferta alla città da speculatori edilizi senza scrupoli. Intorno, il degrado di lamiere contorte e tanta, tanta immondizia. Un biglietto da visita indecoroso per una città tanto bella, e una preoccupazione costante per le tante famiglie che vivono nel quartiere.
Dopo il fallimento dell’impresa costruttrice, il complesso edilizio Polo Nord è finito all’asta giudiziaria. Ma anche al ribasso la cifra richiesta è altissima, e un eventuale compratore dovrebbe spendere altrettanto per ultimare i lavori. E di questi tempi, trovare acquirenti disposti a tale impresa è pressoché impossibile. Così come sembra impossibile il suo abbattimento, che costerebbe tanto quanto acquistarlo. Le vendite all’asta si susseguono, il tempo passa e l’anfiteatro dello sfregio continua a fare brutta mostra di sé, nel silenzio delle amministrazioni locali che nel frattempo si sono succedute.
Finora, anche nel silenzio dei cittadini: alla fine ci abituiamo a tutto, anche alle orride costruzioni che deturpano il nostro paesaggio e le nostre campagne: capannoni industriali sorti qua e là, anche in contesti paesaggistici di pregio e senza alcuna cura per l’ambiente o pianificazione sensata; edifici dismessi ormai vuoti e abbandonati, ridotti a rifugio per gli animali selvatici. Erbacce che soffocano marciapiedi e muri. Un male che non è solo della nostra provincia, ovviamente.
Ma il silenzio si può anche rompere: si può tornare ad alimentare la nostra coscienza civica e denunciare, pretendere che si sblocchi la situazione. Si può tornare a rivedere nuovamente la bruttezza per quella che è: qualcosa che offende i nostri occhi e la nostra anima, prima ancora che la nostra città. Qualcosa che va combattuto con tutte le nostre forze, a partire da noi stessi.
Foto Bruno Pagnanelli