– Da quanto tempo stai dentro?
– Non lo so, ho perso il conto.
– Non ti segni i giorni?
– All’inizio lo facevo, poi mi sono stancato. Tanto che cambia? Devo starci tutta la vita.
– Ma che hai fatto?
La vena si gonfiò sul collo di Emiliano. Non voleva parlare con nessuno, men che meno con il suo nuovo compagno di cella, che con assoluta certezza avrebbe lasciato quel posto molto prima di lui.
– Non sono affari tuoi.
– Non sei un tipo a cui piace molto parlare eh …
– No, infatti. Mi piacciono il silenzio e la tranquillità, non sopporto i seccatori.
– A me invece piace parlare con gli altri, anche in questo anfratto dimenticato da Dio.
– Su questo mi permetto di dissentire. Di sotto c’è una chiesa, anche se adesso ce la fanno usare come falegnameria … sai, per tenerci occupata la mente e non farci impazzire. Io comunque ogni volta che ci entro mi faccio il segno della croce.
Le guance dell’uomo di fronte a Emiliano si distesero in un sorriso carico di amarezza.
– Io mi metto a dormire adesso. – lo interruppe Emiliano – Piacere di averti conosciuto … ehm … come ti chiami?
– Fabio.
– Bene Fabio. Stai tranquillo … non ci mancherà il tempo per scambiare due chiacchiere ogni tanto.
– Sì, certo, non lo metto in dubbio.
Quella notte Fabio dormì molto poco. Guardò la luna dalle sbarre e, piuttosto che angosciarsi per la sua condizione di detenuto che entro pochi mesi avrebbe lasciato quell’angusta cella, preferì fantasticare sul suo compagno che russava lì accanto. Che cosa aveva fatto per meritarsi l’ergastolo? Da cosa dipendeva quell’incrollabile fede in Dio che aveva percepito dalle poche parole che si erano scambiati e dal piccolo crocifisso in legno che teneva al collo? C’era qualcosa in lui che gli sfuggiva, ne era sicuro … Ma, ripensandoci meglio, si disse che forse non erano affari suoi.
L’indomani i detenuti lavorarono molto alla falegnameria. Fabio ebbe la possibilità di ammirare la chiesa di cui aveva tanto sentito parlare, nonostante le sue mansioni fossero abbastanza faticose; di tanto in tanto lanciava uno sguardo al compagno di cella, convinto che un qualche suo gesto avrebbe potuto far riaffiorare qualcosa.
Poi, improvvisamente, cadde un cacciavite, una finestra sbatté per una folata di vento, un carceriere si voltò di scatto e Fabio ricordò quell’episodio di cronaca di cui si era tanto parlato anni prima: c’erano un uomo reo-confesso morto poco dopo il crimine e c’era un ragazzo condannato all’ergastolo che si era sempre professato innocente. Diceva che era stato un incidente, che lo avevano incastrato, che aveva provato in tutti i modi a salvare il bambino, che non aveva idea del perché lo avessero portato lì … ma diceva anche che nessuno aveva mai voluto credere ad una parola di quello che diceva.
Fabio guardò in lontananza e vide Emiliano scortato da due carcerieri che prendeva aria vicino ai papaveri. Il suo compagno di cella aveva lo sguardo rivolto verso l’alto, oltre le nuvole … quando lo abbassò, impercettibilmente, a Fabio sembrò quasi di vedere una lacrima cadere sui petali rossi … ma forse se lo era solo immaginato.
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I nomi utilizzati in questo racconto sono esclusivamente frutto della fantasia dell’autrice. Ogni riferimento a persone o eventi realmente accaduti è puramente casuale.
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