Da casa mia si vede il mare. Laggiù, in lontananza, dopo le campagne viterbesi, dopo il centro storico, dopo la cupola di Montefiascone, dopo le pale eoliche, quasi come un alone velato che si staglia all’orizzonte. Quella finestrella che si affaccia sul mondo è un posto bellissimo e mi sento fortunata ad averlo … in fondo è solo una finestra, mi direte, ma del resto anche il mare è solo una immensa distesa d’acqua, no?
No.
Il mare non è la molecola dell’acqua ripetuta all’infinito, non è il bagno a mezzogiorno né il castello di sabbia che si sgretola all’arrivo di un’onda (o meglio, non solo …); chiedetelo a Turner, a Coleridge, a Montale, a Ungaretti o a chiunque altro vi venga in mente.
Quando scosto quella tenda i miei occhi viaggiano veloci sul finire del paesaggio e cercano il blu brillante nei giorni di sole, il grigio opaco in quelli ventosi e l’invisibile quando cade la pioggia. Sarà che sono nata sotto il segno dei pesci, ma io ho bisogno di vedere il mare ogni tanto; e quest’estate più che mai il nostro mare ha bisogno di vedere noi.
Il litorale della Tuscia non deve rimanere solo, c’è stato fin troppo tempo; le nostre spiagge vogliono essere calpestate e sentirci urlare “scottaaaaaa” mentre brancoliamo dall’ombrellone alla battigia; Tarquinia, Montalto, Pescia, vogliono ridere, cantare e ballare fino all’alba. Il nostro mare vuole vederci negli occhi, toccarci ed abbracciarci, non storce il naso se siamo a meno di un metro di distanza; le nostre acque non sono malate, respirano e vivono dentro e fuori di noi.
Torniamo da loro, senza paura, ma ricordiamoci che delle mascherine usate non se ne fanno nulla; non contagiamole con la superficialità e l’egoismo, lasciamole respirare, libere e pulite. E sarà come incontrare per la prima volta un vecchio amico: sicuramente ci troverà cambiati, ma noi dobbiamo dimostrargli che siamo migliori.
La foto è tratta dal sito www.infoviterbo.it