“Meditate che questo è stato, tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo”. (Primo Levi)
A volte pensiamo che le disgrazie del mondo non ci riguardino, che siano lontane dalla nostra vita, che capitino agli altri; noi, chissà per quale assurda legge del destino, ne siamo esenti. Ma non funziona così.
Ci sono eventi che vengono a bussare alla nostra porta, nel cuore della notte, quando le difese sono abbassate; ci sono colpi che incassiamo in pieno giorno senza che nemmeno possiamo rendercene conto.
Ci sono fatti, forse i più tristi di tutta la storia dell’umanità, che oggi chiedono di essere raccontati, ancora una volta, ancora e ancora, per non dimenticare quello che è stato.
E la nostra Viterbo, per quanto piccola, non è stata esente dal grande disegno della storia: è la nostra città ad essere stata bombardata, è sulle nostre piazze che si sparava, nelle nostre vie che si moriva, dalle nostre case che si veniva portati via, senza avere il tempo di pronunciare un “ma…”. Il silenzio è da sempre il più veloce.
La prima misura discriminatoria nei confronti degli ebrei viterbesi fu il censimento del 22 agosto 1938: due elenchi di nomi con relativi luogo e data di nascita, attuale residenza, professione e stato civile. In quello stesso anno erano stati emanati i “Provvedimenti per la difesa della razza italiana”, che avevano lo scopo di limitare ancora di più la libertà dei discriminati: gli adempimenti dovevano essere messi in vigore dai podestà dei comuni della provincia e, in particolare, gli ebrei dovevano essere espulsi dall’esercito, non potevano prendere parte al mondo dello spettacolo o della cultura, non potevano esercitare libere professioni ed erano limitati nelle attività commerciali.
Il passo successivo fu quello di individuare nel territorio della Tuscia dei comuni ritenuti idonei all’internamento degli appartenenti alla “razza ebraica”, cosa che poi di fatto avvenne nei comuni di Acquapendente, Grotte di Castro, San Lorenzo Nuovo, Bolsena, Castiglione in Teverina, Graffignano, Montefiascone, Capodimonte, Ischia di Castro, Farnese, Cellere, Tuscania, Vitorchiano, Viterbo, Canepina, Caprarola e Corchiano.
Dopo l’internamento, molti ebrei viterbesi vennero portati nei campi di concentramento situati prevalentemente in Polonia e in Germania, i più noti dei quali sono Auschwitz, Dachau, Majdanek e Mauthausen, da cui non fecero mai ritorno.
Una testimonianza tangibile della Shoah nel viterbese è una targa situata in un edificio nei pressi di Porta della Verità: essa riporta in poche righe la vicenda della famiglia Anticoli, una delle tante famiglie discriminate e sterminate dalla follia nazista della nostra città, e recita così:
Qui vissero
Vittorio Emanuele Anticoli
Letizia Anticoli e Angelo Di Porto
arrestati nel Dicembre ’43 perché ebrei
deportati ad Auschwitz e mai più tornati.
Viterbo, 27 Gennaio 2001
Gli ebrei “individuati” nella provincia di Viterbo erano 37; alcuni riuscirono a sfuggire ai campi di concentramento a causa di una degenza in ospedale, ma di molti di loro non si seppe più nulla.
D’altronde, come sappiamo, il silenzio era la via più veloce: da ebreo per non farsi trovare, nascosto in una cantina fredda e umida, invisibile agli occhi del mondo; da nazista per condannare all’oblio il diverso, il “colpevole”, l’uomo che non aveva diritto di parola.
– “Ma …”.
Fucile.
Ditemi voi “se questo è un uomo”.
Foto scattata da Carolina Trenta presso il campo di concentramento di Auschwitz.