Ho girato il mondo, ma non sono mai ancora andata in luoghi molto più prossimi per distanza chilometrica e per vicinanza di cuore, come ad esempio Roccalvecce. Luoghi inaspettati della nostra provincia, che rimangono nel fondo del cassetto dei buoni propositi, oscurati dai nostri “sì, va beh, tanto sta qui vicino, prima o poi ci andrò”. Ma poi passano i mesi e gli anni, e Roccalvecce, come tanti piccoli grandi tesori della Tuscia, rimane nascosta ai più e ingiustamente trascurata.
Invece ieri ci sono voluta arrivare, percorrendo una strada tortuosa, che impone lentezza e uno sguardo alla serena campagna circostante.
Roccalvecce è un grappolo triangolare di casette di tufo, disposte intorno all’imponente Castello Costaguti – una fortezza merlata elegante e bianco panna – che domina la piazza principale del paese. Mi ha colpito il silenzio: non un clacson, non una voce. Pochi passanti: Roccalvecce sembra congelata in un eterno istante, tra cartelli Vendesi e finestre sbarrate. L’erba cresce indisturbata tra i lastroni in peperino delle antiche vie. Un gatto su un muretto di pietra si crogiola al sole di ottobre. A sorpresa dietro l’angolo appare una casa ristrutturata, e rifioriscono colori e calore di presenza, e penso a come sarebbe bello se tutte le case fossero rimesse a posto e restituite alla vita.
La grande piazza, dove si trova l’accesso al Castello, ospita una vecchia scuola media. Non ci sono più studenti né chiasso, solo un portone sbarrato, malinconiche finestre vuote e una targa, a ricordare a chi passa le gesta di un valoroso capitano della Seconda Guerra Mondiale, Mario Viola, cui è intitolata la scuola. Salgo la scalinata che conduce al Castello, e trovo il portone sorprendentemente aperto. All’interno al momento non c’è nessuno. Faccio in tempo a scattare una foto col cellulare, tra lo splendore di arredi d’epoca, tendaggi e legni pregiati, prima di scappare via. Il Castello Costaguti è iscritto alla rete delle Dimore Storiche del Lazio, ed è un magnifico albergo diffuso: camere con soffitti a cassettoni, letti sontuosi a baldacchino, antichi pianoforti, saloni affrescati e una piccola chiesa attigua. Ai confini del borgo sorge uno splendido parco storico settecentesco, la Vignaccia, di pertinenza del Castello, ricco di piante centenarie e preziose. Si può visitare il Castello e le sue pertinenze in occasione di aperture straordinarie.
Un paese può rischiare di morire, come Civita, per il terreno che gli frana implacabilmente sotto i piedi. Ma un paese può anche spegnersi in un dimenticatoio, se i giovani che lo popolano si trasferiscono nella grande città, se non ci sono più tanti bambini a giocare nei vicoli, se nessuno vi apre più un bar o un ristorante. Se il Comune-madre, Viterbo, invece di comportarsi come una mamma affettuosa e sollecita, lascia che i suoi centri più fuori mano deperiscano nella più assoluta indifferenza. Eppure, sono sicura, Roccalvecce potrebbe essere riqualificato e valorizzato per quello che merita, e diventare centro di villeggiatura per chi vuole fuggire dallo stress cittadino. Basterebbe buona volontà politica.
Il vicino Sant’Angelo si è vestito a festa con i colori dei murales, e attira sempre più visitatori. Roccalvecce attende ancora una buona idea.