Maria aveva bei sogni, come tutte le ragazze. E quelle nate sul finire dell’Ottocento, forse ne avevano di più. Era una ragazza semplice, e i suoi sogni lo erano altrettanto: un marito onesto e lavoratore, dei figli da crescere con amore. Non si aspettava niente di più, da quel secolo che iniziava carico di promesse.
Nella Viterbo di quei tempi tutti si conoscevano per soprannome. Maria la chiamavano Cochetta, perché era figlia del cuoco del Vescovo. Cochetta aveva incontrato un bel giovane, Lorenzo, e insieme avevano deciso di formare una famiglia. Nacquero tre maschietti: i sogni di Maria sembravano essersi tutti avverati.
Ma arrivò la Grande Guerra, a sconvolgere le vite della povera gente: Lorenzo fu richiamato sotto le armi. Lui, contadino trentenne, non ne sapeva niente di armi e di combattimenti. Ma il mostruoso appetito della guerra ingoia tutti senza fare distinzione: tutti erano adatti a fornire la carne da macello per le trincee. Si abbracciarono alla stazione del treno, e Maria promise al suo sposo che si sarebbe presa cura dei loro tre bambini. Fu un arrivederci, ma chissà se ci credevano veramente.
Era il 1917, e i combattimenti imperversavano nel cuore delle Dolomiti. Un giorno di maggio, su un altipiano dove oggi fioriscono i rododendri, Lorenzo cadde vittima di una granata e morì per le tremende ferite riportate. Maria divenne una giovane vedova, una donna sola con tre maschietti da sfamare.
Aveva un banchetto di frutta e verdura a piazza del Gesù, e prima dell’alba andava tutti i giorni a fare rifornimento ai mercati generali. Era una donna fiera, Maria, e fedele alla memoria del suo sposo. Per non dare nell’occhio in quel mondo declinato al maschile, nascondeva le chiome sotto un cappello e indossava dei pantaloni. Per scoraggiare apprezzamenti non desiderati, Maria si vestiva da uomo.
Questa è una delle rare immagini che restano di lei, ancora più speciale perché Maria indossa il suo abito più bello per il fotografo. Il bambino a sinistra è mio nonno paterno Angelo.
Non so cosa è restato dei tuoi sogni, Maria, quando la sera ti coricavi stanca per affrontare l’indomani una nuova pesante giornata. Quando allungavi la mano nel letto e trovavi, per l’ennesima volta, un posto vuoto. Guardando i tuoi figli addormentati avrai pensato che comunque ne fosse valsa la pena. Con la forza di carattere che avevi, di certo avresti potuto affrontare qualsiasi cosa. Spero di averne ereditata almeno un po’.
Oggi è la festa dei nonni, e mi è piaciuto ricordarti.