Oggi è il 4 novembre, “Giorno dell’Unità Nazionale” e “Giornata delle Forze Armate”. Una data non casuale: a seguito dell’armistizio di Villa Giusti, il 4 novembre del 1918 il Generale Armando Diaz, con il Bollettino della Vittoria, annunciava solennemente la resa dell’Impero Austro-Ungarico all’Italia. Terminava così una guerra tra le più sanguinose che la storia ricordi: si calcola che morirono complessivamente oltre 9.700.000 soldati, di cui 650.000 italiani. Anche i civili pagarono un prezzo molto alto: quasi un milione di morti per le operazioni belliche, e quasi sei milioni per cause connesse alla guerra: fame, carestie, epidemie. Anche Viterbo pagò il suo tributo di sangue al mostro della guerra: in totale, 624 soldati partirono dal capoluogo e dalle sue frazioni – San Martino, Grotte Santo Stefano e Bagnaia – e non fecero più ritorno.
All’indomani della fine della guerra, le ferite erano ancora fresche ed era ancora acerbo il dolore e il cordoglio per le tante famiglie che piangevano i loro ragazzi. In tutte le città italiane venivano eretti monumenti per eternare il ricordo dei Caduti e materializzare il commosso omaggio delle comunità. Anche Viterbo non fu da meno. Era il 1920, e venne costituito un Comitato che avrebbe dovuto raccogliere i fondi per realizzare un Monumento ai Caduti. Il Comune avrebbe contribuito con trentamila lire; le restanti settantamila, necessarie a raggiungere la cifra necessaria, sarebbero state finanziate dai contributi dei singoli cittadini. Un paio d’anni dopo la somma venne messa insieme, e si indisse il concorso tra gli scultori. Vinse un artista palermitano, Bernardo Balestrieri, molto apprezzato all’epoca.
Balestrieri ideò un basamento piramidale di pietra chiara, che facesse da base a sculture in bronzo: statue di madri e di vedove piangenti alla base, e in cima la figura di un fante intrepido che reggeva l’asta della Bandiera. Nel frattempo, Comune e Comitato avevano scelto il luogo in cui sarebbe stato edificato il Monumento: piazza Verdi, proprio di fronte al Teatro dell’Unione.
Il Monumento ai Caduti Viterbesi venne allestito, ed era veramente bello: il colore scuro del bronzo delle statue spiccava sul pallore del travertino. Peccato che fossero gli anni in cui i Viterbesi – e l’Italia tutta – volevano soltanto gettarsi alle spalle i brutti ricordi e ricominciare a vivere. Così, quel bel monumento piazzato davanti al Teatro, e per giunta a pochissima distanza dal cinema Margherita, aveva il potere di rattristarli.
Il Monumento diventò così incolpevole protagonista della disputa tra i molti che lo detestavano e chi invece lo apprezzava per il suo valore artistico e per il suo significato. L’acceso dibattito tra le due fazioni si quietò momentaneamente, quando il 17 maggio 1925 re Vittorio Emanuele venne a Viterbo per presenziare alla sua solenne inaugurazione. Passate le fanfare e ascoltati i discorsi retorici, la questione si ripresentò.
Nel 1938 il Podestà Giuseppe Siciliano de Gentili deliberò lo spostamento del Monumento: la ragione ufficiale era permettere i lavori di risistemazione di piazza Verdi. Ma è lecito supporre che alla fine avesse vinto il partito dei detrattori. Il gruppo scultoreo venne smembrato, e secondo la delibera, avrebbe dovuto essere rimontato nel giardino pubblico in zona Paradiso. Invece giacque tristemente per decenni in un angolo dimenticato di Pratogiardino.
Sopraggiunse un nuovo conflitto, e ci si ricordò di lui, ma per un motivo tragico e paradossale: nel 1944 le belle statue in bronzo vennero prelevate e riutilizzate per fabbricare cannoni.
Soltanto dopo la fine della seconda guerra, la struttura in travertino – privata per sempre delle sue statue e diventata per questo abbastanza insignificante – venne eretta nel cimitero cittadino, in un angolo appartato e suggestivo, dove si trova ancora oggi.
Ai suoi piedi, file e file di nomi dietro i quali si celano esistenze spezzate. Ragazzi morti perché credevano nella Patria, e in una comunità salda, forte, disposta a sacrificare parti di sé per difendere la sicurezza di tutti. Il mostro contro cui combattere può essere una guerra, oppure una pandemia. Quanto ancora è forte, oggi, il sentimento di unità nazionale? Non lasciamo che questo quattro novembre passi senza riflettere su quanto sia ancora attuale il suo significato.
La prima immagine è tratta dal sito www.teatrounioneviterbo.it