Pietro siede con aria sconsolata sul suo giaciglio. È un triste giorno di fine settembre dell’anno 1864. Il ragazzo porta al volto il lembo di un lenzuolo bianco, e aspira forte. Trattiene qualche istante il respiro, mentre gli appaiono nella mente care immagini. Emilia che sorride. Emilia con un cappellino nuovo. Emilia che chiude gli occhi e lo bacia. Vorrebbe continuare a respirare quel tenue profumo sempre più evanescente e lontano. Quella traccia odorosa è tutto ciò che gli resta di lei, morta a soli sedici anni. E quel lenzuolo bianco ha coperto pietosamente il suo corpo quando la sua giovane vita è fuggita.

Pietro scappa e si rifugia in convento, ai Cappuccini. Se Emilia è volata in Paradiso, vuole stare il più possibile vicino a lei, assorto in preghiera nella quiete del monastero. In una sorta di follia disperata, indossa una veste della ragazza e dorme avvolto in quel lenzuolo bianco. Ma dopo qualche mese si riaffaccia la voglia di vivere e torna a balenargli il futuro, che per Pietro ha un solo nome: l’arte.

Vuole fare il pittore. E inutilmente il padre, un senese industriale del tessile, e la madre, una nobile viterbese, hanno tentato di distoglierlo dai suoi progetti. Meglio per lui iniziare a lavorare nell’azienda di famiglia! Ma Pietro vuole dipingere. E, per nostra fortuna, ci riuscirà.

Allestisce uno studio luminoso nel palazzetto natio di via Valle Piatta, riportando vita e luce nei saloni prima deserti. Pietro vi arriva la mattina all’alba e al calar della sera torna nella sua villa del Merlano. Nel suo bellissimo giardino fiorito vivono tartarughe, cigni, colombi, cani, e un serpente, a cui dà personalmente da mangiare.

Ha ormai superato la quarantina, quando l’amore si riaffaccia nella sua vita. Sbiadito il ricordo della dolce Emilia, il suo cuore torna a battere per una bella vedova trentenne, Angela Bevilacqua Calabresi. Pietro e Angela si sposano e vanno a vivere nel palazzo Calabresi, su via Roma. E a Roma Pietro morirà, nel 1905, in un palazzo a due passi da piazza del Popolo, dopo aver lasciato al mondo inestimabili tesori dell’arte pittorica.

Vi abbiamo raccontato la vita di un illustre nostro concittadino. Alcuni di voi avranno capito a chi ci stiamo riferendo, ma la maggioranza ne vorrà sapere di più. Il Pietro della nostra storia è Pietro Vanni, nato a Viterbo nel 1845, uno dei più grandi maestri della pittura ottocentesca. Il suo nome vi ricorderà una scuola media, oppure una via nel quartiere Cappuccini. Ma è ingiusto e riduttivo ricordarlo soltanto per questo.

Pietro Vanni dedicò tutta la sua vita all’arte e realizzò moltissime opere, a soggetto sacro e profano. Il suo capolavoro è una grandissima tela – quattro metri per sette – che raffigura i Funerali di Raffaello. È una rappresentazione drammatica e corale – con una scenografia da opera lirica – del corteo funebre che sta accompagnando Raffaello al Pantheon per la sepoltura. Tra i presenti si individuano a testa bassa Michelangelo, Bramante, Tiziano e Lorenzo da Viterbo. Sullo sfondo, le tante amanti piangenti del Maestro scomparso. Il quadro si aggiudicò la medaglia d’oro in Russia all’Esposizione Artistica Italiana, e oggi è custodito ai Musei Vaticani. Ma senza dover andare ai Musei Vaticani, ci sono opere di Pietro Vanni a Viterbo, sua città natale: i suggestivi affreschi nella chiesa di San Lazzaro, che si discostano dallo stile giovanile e abbracciano le nuove istanze del simbolismo. C’è il Cristo Deposto al Museo Colle del Duomo. C’è la Decollazione del Battista al Santuario della Quercia. E lo Sposalizio della Vergine a Palazzo dei Priori.

I Funerali di Raffaello (1900)

Ma c’è ancora qualcosa che Pietro ci ha lasciato, qualcosa di bello e sorprendente, che possiamo ammirare semplicemente camminando per via Roma. Magari alzando gli occhi ad un’altezza superiore alle vetrine. A circa metà via, vedrete un bellissimo balcone ornato di portafiaccole in ferro battuto.  Quando Pietro realizza questo magnifico balcone, nel 1899, via Roma si chiama ancora via Indipendenza. Per Palazzo Calabresi Pietro vuole ricreare una loggia in puro stile trecentesco. Vi inserisce una meravigliosa ed autentica finestra traforata medioevale e una maiolica bianca e blu. Prepara lui stesso i disegni per i fabbri ferrai che realizzano i portafiaccole. E in un angolo, a destra, inserisce una piccola edicola con la figura di una Madonna con Bambino. Il risultato è un gioiellino di stile, che Pietro ci ha regalato e che continua ad impreziosire via Roma.

La loggia di Pietro Vanni ancora oggi visibile in via Roma, Viterbo

Di regali, Pietro Vanni ce ne ha fatti tanti. A noi, che siamo suoi concittadini, e a tutti coloro che apprezzano l’arte e la bellezza. Possiamo ricambiarlo in molti modi: ad esempio, ricuperando e restaurando i bellissimi suoi affreschi della chiesa di San Lazzaro, che stanno soffrendo per le infiltrazioni di umidità. Organizzando una bella mostra che gli faccia omaggio. Oppure semplicemente, facendo in modo che quando si dice Pietro Vanni, non ci venga subito in mente una scuola. Ma il talento e la personalità di un grandissimo artista.

l’Odalisca (1877)
La Madonna del Gigli, attualmente presso la Prefettura

Anonimo

Scritto da:

Donatella Agostini

Imparare cose nuove è il mio filo conduttore, darmi sempre nuovi obiettivi la mia caratteristica fondamentale. Valorizzare la terra in cui vivo è il mio progetto attuale.