Il vento d’ottobre strappava con rabbia le foglie ancora attaccate agli alberi, urlando contro le finestre del monastero di santa Rosa. Ma suor Laura sentiva in sé il senso di rinascita e la speranza di una perfetta primavera. In quell’autunno del 1837 il colera aveva finalmente smesso di imperversare tra le mura del convento, grazie alla bravura di medici che non si erano risparmiati per salvare la vita di suor Laura e quella delle sue consorelle. E ora la giovane monaca, piena di gratitudine, stava preparando dei doni a quei medici. Doni gastronomici, vere specialità: perché il buon cibo, se assunto con moderazione, è un dono del Signore.

Suor Laura scaldò aceto e zucchero in un tegame, e li profumò con chiodi di garofano e noce moscata. Aggiunse striscioline viola di carote e rimestò con cura il composto, infine vi unì una manciata di pinoli e di uvetta. Per i valorosi medici, non era il caso di lesinare con gli ingredienti! Poi versò la confettura in recipienti decorati di terracotta e li coprì con un panno. Suor Laura ripose il quadernino su cui era scritta la ricetta tra le pieghe del suo saio e osservò soddisfatta la fila di vasi che tra due settimane avrebbe potuto regalare ai suoi dottori. Di certo avrebbero gradito quella delizia!

Foto tratta da www.lacitta.eu

Chi di voi conosce le carote di Viterbo? E soprattutto, chi di voi ne ha mai gustate?

Domande che potrebbero sembrare superflue, trattandosi di uno dei principali prodotti tipici del Viterbese. Eppure le carote di Viterbo sono sconosciute alla maggior parte di noi e oggi sono pressoché introvabili.

Un vero peccato, perché è una specialità che ha fatto letteralmente impazzire personaggi celebri del calibro di Giuseppe Garibaldi, Benito Mussolini, i reali Savoia. Gustose come antipasto, le carote si sposavano alla perfezione a salumi “poveri” come il salame cotto o la coppa di testa, e soprattutto a bolliti di carne e di pesce, un po’ come la famosa mostarda di Cremona, famosa in tutto il mondo.

Ma quanto sono antiche le carote di Viterbo? La prima notizia certa della ricetta risale al 1827, data di un documento ritrovato nella Biblioteca degli Ardenti di Viterbo. Ma scrive Italo Arieti che già nel 1467 un certo fra’ Cristoforo, agostiniano della Trinità, pagò un bolognino di dazio per poterle portare a Roma, dove ebbero un grande successo, soprattutto fra gli stranieri. Dall’inizio dell’Ottocento le suore del monastero di santa Rosa erano solite ricompensare i loro benefattori con doni gastronomici, e preparavano a questo scopo le carote in bagno aromatico, utilizzando una particolare varietà di carote viola locali. La ricetta, gelosamente custodita, arrivò poi nelle cucine delle famiglie nobili viterbesi. Le carote venivano conservate in artistici recipienti di ceramica. In seguito la produzione e la commercializzazione del prodotto furono affidate al Gran Caffè Schenardi e alle drogherie Ciardi e Bizzarri, in corso Italia. Gli ultimi produttori furono le distillerie Viterbium. Poi le carote di Viterbo si sono, per così dire, estinte.

Foto tratta dalla pagina Facebook “Viterbo, memorie e cartoline”

Perché è accaduto questo? Perché questa specialità, insolita e squisita, non è più prodotta? Forse perché nel frattempo il gusto dei viterbesi è mutato, e preparazioni di questo tipo non solleticano più il palato? Ma si potrebbe obiettare che invece, negli ultimi tempi, sono molto apprezzate le confetture agrodolci in abbinamento ai formaggi. Forse il vero motivo sta nella scomparsa della materia prima, ossia della particolare varietà di carote di colore viola e dalla forma un po’ attorcigliata della ricetta.

Le carote non sono sempre state arancioni: l’ortaggio, in origine, era proprio porpora-viola. Ma l’antica varietà presenta un problema: non si può coltivare insieme alle carote che noi conosciamo, altrimenti deperisce e muore. Ed è quello che è capitato alle nostre coltivazioni e che ha determinato la sua scomparsa. Ma c’è chi, negli ultimi anni, ha cercato di riportare alla vita questo particolare ortaggio, in modo da tornare a preparare la nostra specialità gastronomica, che potrebbe avere successo all’estero e anche tra le giovani generazioni, sia per il suo sapore, sia per il suo alto contenuto di antiossidanti.

Conoscete qualcuno che ancora le prepara? Fatecelo sapere! Intanto, se riuscite a trovare sul mercato le carote viola, potete provare a prepararla voi stessi. Questa è la ricetta:

fate bollire per 10 minuti 500 gr. di carote pelate in una pentola di acqua leggermente salata, e scolatele piuttosto “al dente”. Tagliatele a fettine sottili nel senso della lunghezza. Fatele seccare al sole. Poi preparate una salsa con 1 bicchiere di aceto e 50 gr. di zucchero, aggiungendovi 5 chiodi di garofano, noce moscata e cannella. Mescolate per ottenere un composto fluido. Unitevi le striscioline di carote, 20 gr. di pinoli e un pizzico di sale. Potete aggiungere anche uvetta e cioccolato, a vostro piacimento. Fate sobbollire per addensare un po’. Al termine, invasate il composto e aspettate almeno una settimana prima di gustarlo.

Foto tratta da www.lacitta.eu
Anonimo

Scritto da:

Donatella Agostini

Imparare cose nuove è il mio filo conduttore, darmi sempre nuovi obiettivi la mia caratteristica fondamentale. Valorizzare la terra in cui vivo è il mio progetto attuale.