Non piove: si va. Di buon’ora, perché ci sarà da camminare. Indosso stivali di gomma e impugno un solido bastone di nocciolo, e mi avvio.

Siamo in una zona remota, tra Monte Romano e Tuscania. Intorno a noi soltanto campi coltivati a grano, e greggi di pecore tranquille tenute a bada dai cani pastori. Costeggiamo l’ex merca, un’area recintata dove un tempo si marchiava il bestiame, e dove si svolgevano feste ed eventi. Ora tutto è deserto e abbandonato.

Il paesaggio è punteggiato dal verde piumoso delle ferle, piante erbacee simili al finocchio. Dalla spuma di verde alla base sorgerà presto un alto stelo che porterà i fiori. I prati sono costellati dagli steli secchi delle ferle nate gli anni precedenti. Sono le ferle il nostro centro di interesse, perché alla loro base cercheremo i ferlenghi, detti anche cardoncelli, prelibati funghi che crescono un po’ tutto l’anno.

Ci addentriamo tra la macchia rada, trasformata in un vero giardino: il biancospino come un’ultima neve invernale, gli anemoni rosa e viola, le viole scontrose, le giunchiglie sfacciate. Tra i sassi si possono trovare conchiglie fossili, a dimostrazione che, in tempi lontani, il mare arrivava fin qui.

In lontananza, su due alture, si vedono le rovine di quelli che sembrano due castelli, e resti di mura di contenimento. Sarebbe bello andare fin lassù, e indagare su di loro.

Il sole si è alzato e comincia a far caldo: si levano forti i profumi del sottobosco. Troviamo qualche asparagio, qualche manciata di strigoli, ma ancora niente ferlenghi. Mi siedo su un masso affiorante, e assaporo il silenzio. Non un rumore proveniente dalla civiltà: soltanto il cinguettare degli uccelli, qualche lontano belato, e lo scrosciare del Biedano giù, a valle.

E penso che se anche il mio cestino rimarrà orfano di funghi, questa passeggiata nella natura mi ha dato moltissimo: ossigeno, gioia dei sensi. Penso alla fortuna che abbiamo noi abitanti della Tuscia, nell’avere vicini questi piccoli paradisi naturali, a nostra disposizione ogni volta che ci sentiamo stressati. In questo luogo magico e appartato ho dimenticato perfino il coronavirus.

Mi alzo a malincuore: è ora di andare. Riprendiamo il sentiero che ci condurrà dove abbiamo lasciato l’auto. Con la punta del bastone sposto le foglie di un’ultima ferla: c’è un piccolo fungo nocciola alla base.

La foto di copertina è di Stefano Proietti Palombi.

Anonimo

Scritto da:

Donatella Agostini

Imparare cose nuove è il mio filo conduttore, darmi sempre nuovi obiettivi la mia caratteristica fondamentale. Valorizzare la terra in cui vivo è il mio progetto attuale.