I miei passi risuonano cadenzati sui sampietrini, ancora lucidi di umidità nei riquadri d’ombra. L’aria è insolitamente tiepida per una domenica di novembre. Nella piazza due bambini giocano rincorrendosi intorno alla fontana, sotto il luccichio dorato delle foglie autunnali. Il mio cammino mi condurrà oggi su un percorso nuovo, seguendo il tacito richiamo di tre diversi San Tommaso che mi aspettano in altrettanti punti da raggiungere. Come una caccia al tesoro in cui si vincono i segreti racchiusi nelle storie di cui pochi ancora si ricordano.
Cammino e mi addentro assorta nel cuore primordiale della mia città. Voglio percorrerne vene e arterie in cui scorre, eterna, la storia. Storia di genti, di confraternite e di santi.
Prima dell’inizio del ponte del vecchio ospedale svolto a sinistra, costeggiando l’elegante palazzo Tignosi.
Mi trovo in via del Ginnasio, dove mi attende il primo san Tommaso. Sì, quello che non si fidava granché del fatto che Gesù fosse risorto, e che si era convinto soltanto dopo aver messo la mano nella ferita del suo costato. A lui venne dedicata, sul finire dell’anno Mille, la piccola chiesa che ancora si trova qui, e che circa cinquecento anni dopo divenne sede della Confraternita della Morte, il cui compito era quello di dare una sepoltura dignitosa a coloro che erano morti in povertà… e nei periodi di epidemia o di carestia, il suo lavoro aumentava a dismisura. La confraternita diede il nome anche alla piazza che ho appena attraversato.
Non stupitevi se non conoscevate l’esistenza di questa piccola chiesa. Sconsacrata nel 1870, oggi è celata dagli altri palazzi circostanti e va, più che altro, intuita. Mi soffermo a pensare a quanta gente ha visto passare la chiesetta, in quasi mille anni di storia. Ma è tempo di proseguire: c’è un altro san Tommaso che mi aspetta.
Attraverso piazza san Carluccio e mi addentro nello splendido quartiere di san Pellegrino. Lo percorro tutto, assaporando il silenzio, osservando le linee eleganti, le pietre antiche, i morbidi archi. Intorno a me si muovono i fantasmi degli antichi cittadini affaccendati nelle loro quotidiane incombenze. Mi dirigo verso via Borgolungo e poi nella via dedicata a san Tommaso Beckett, assassinato nella cattedrale di Canterbury il 29 dicembre del 1170. Nel Duecento sorgeva qui un piccolo ostello, rilevato dalla confraternita di santa Maria degli Inglesi, che lo dedicò al santo di Oltremanica e lo riservò all’accoglienza dei pellegrini stranieri. Nei primi anni del Quattrocento l’Ospedale degli Inglesi, preso nuovamente in gestione dalla corporazione degli Osti e dei Tavernieri, fu chiamato ospedale Del Boccaletto. Aguzzo lo sguardo e scopro, sull’architrave del suo antico ingresso, le lettere A e O, scolpite nell’antico peperino e inframmezzate dal disegno di un quartarolo, il piccolo recipiente usato anticamente per il vino.
È tempo di andare, non vorrei fare aspettare troppo l’ultimo san Tommaso, che mi dicono essere particolarmente severo. Mi aspetta davanti alla chiesa di santa Maria Nuova. Dopo aver percorso via Cardinal La Fontaine, mi addentro in questo antico largo. Alla sinistra dell’entrata principale della chiesa vi è un piccolo pulpito scolpito di pietra. Con un po’ di immaginazione, rivedo una mattina del 1266, quando una grande folla di viterbesi si raduna ad ascoltare le parole del grande Tommaso d’Aquino. Il santo, con la tonaca bianca e nera dei Domenicani, arringa i presenti con voce ferma e autoritaria, predicando la pace tra Viterbesi e Orvietani. Sul pulpito è scritto “Divus Thomas Aquinatis – Anno Domini 1266”, a perenne ricordo di quella predica vibrante e accorata. Che non spense affatto gli ardori dei Viterbesi: dopo qualche anno, esasperati, scoperchiarono il tetto del palazzo papale per porre fine al conclave più lungo della storia.
Ritorno lentamente al punto di partenza, alla piazza serena ed elegante che porta un nome un po’ fosco: piazza della Morte. Ma ora noi sappiamo il motivo.