Oggi poche chiacchiere, prendete le chiavi della macchina e andiamo. Non c’è tempo da perdere, la giornata è un soffio e dobbiamo recarci in un posto che ha una storia millenaria da raccontare. Armatevi di forza d’animo, l’impatto emotivo è forte. Pronti, partenza, via.
A circa 10 km dalla città di Viterbo, lungo la strada Teverina e verso la valle del Tevere, si erge uno dei siti archeologici più belli e intrisi di storia di tutta Italia: la città romana di Ferento, le cui rovine si estendono per circa trenta ettari fino ad un suggestivo sbocco sui torrenti Vezzarella e Acquarossa.
Molto probabilmente Ferento venne all’ inizio popolata dagli sfollati che avevano abbandonato la vicina città etrusca di Acquarossa, distrutta intorno al 500 a.C. durante le guerre di espansione di Tarquinia.
In epoca repubblicana divenne un municipium (secondo le testimonianze di Tacito e Vitruvio) organizzato intorno al decumano massimo della via Ferentiensis, ma è soltanto in età giulio-claudia che la città raggiunse il suo massimo splendore: teatro, anfiteatro, terme, foro e portico colonnato per svolgervi il mercato sono solo alcuni degli edifici che dovevano sorgere su questa ricchissima lingua di terra.
Proprio per lo splendore di cui riluceva, il titolo di civitas splendissima non tardò ad arrivare; inoltre, Ferento divenne famosa per essere stata la città natale di Otone (uno dei quattro imperatori del 69 d.C.) e di Flavia Domitilla, moglie dell’imperatore Vespasiano e madre di Tito e Domiziano, tutti e tre detentori del potere imperiale nel corso del I secolo d.C.
A partire dal III secolo d.C. le notizie sulla città iniziarono a scarseggiare, ma è durante il periodo delle invasioni barbariche e del successivo conflitto tra longobardi e bizantini che iniziò l’inesorabile declino: la distruzione definitiva avvenne nel 1172 per mano dei viterbesi, in seguito a continue rivalità con gli abitanti del posto per il controllo del territorio. Per sottolineare l’annientamento della rivale i viterbesi aggiunsero al loro simbolo (il leone) quello della sconfitta (la palma): entrambi rappresentano ancora oggi la città di Viterbo.
Le rovine di Ferento vennero portate alla luce dall’ archeologo viterbese Luigi Rossi Danielli, che insieme alla “Società Archeologica Pro-Ferento” condusse gli scavi sulla zona nei primi anni del Novecento; oggi è visibile solo una parte del complesso originale, il resto giace ancora sotto i piedi dei turisti che ogni anno affollano il sito archeologico.
Chissà se l’intera città di Ferento riuscirà mai a vedere la luce del sole, brillando nuovamente di quello splendore abbagliante che la caratterizzava secoli e secoli fa … chissà se i viterbesi avranno occasione di riscattarsi restituendo ai posteri ciò che i loro antenati hanno distrutto … Riusciremo a fare questo regalo a noi, alla storia e al mondo intero?
La foto è di Ruggero Arena e presa dal sito www.archeotuscia.com