San Martino al Cimino, Febbraio 1644
La lunga toga rosso porpora frusciava a terra, gli intarsi d’oro baluginavano al tepore della candela che il cardinale teneva nella mano sinistra. Non c’era nessun altro in giro quella notte, il gelo invernale aveva fatto chiudere qualsiasi spiffero.
Procedette a passo spedito oltre l’imponente arco che sanciva l’ingresso al borgo, imboccò la salita e, poco prima di arrivare in cima, si fermò davanti ad un portone sul cui pomello si rifletteva la fioca luce della candela; bussò tre volte con il leone in ottone.
Il calore del suo respiro, accelerato per la fatica, smorzava il freddo.
L’uscio si aprì.
– Vieni, ti stavo aspettando.
Quando Giovanni Battista Pamphili varcò la soglia rimase colpito dal pungente odore di tabacco che si respirava nella stanza; di sicuro sua cognata aveva qualcosa di molto importante da dirgli, avendolo fatto chiamare così di corsa e in piena notte.
La donna, non di bell’aspetto ma dallo sguardo intelligente ed astuto, camminava nervosamente avanti e indietro, quasi a voler consumare in breve tempo la suola delle sue scarpe.
– È tempo di pensare al nostro futuro, Giovanni.
Sentenziò Olimpia Maidalchini, meglio nota come Donna Olimpia, vedova del nobile viterbese Pamphilio Pamphili.
– In che senso scusa? – ribatté il cardinale notevolmente perplesso.
– Mi sorprende che tu non comprenda il significato delle mie parole; sei un avvocato brillante e scaltro, la tua professione non ti ha insegnato nulla?
Giovanni Battista assunse un’espressione piuttosto piccata; la sfrontatezza di quella donna non finiva mai di stupirlo, portandolo spesso a chiedersi come il povero fratello defunto avesse potuto tenerle testa per tutti quegli anni.
– Non credo che Barberini ne avrà ancora per molto … – riprese lei – hanno già miseramente provato a farlo fuori una volta, e poi comunque ha già la sua veneranda età; sono venti anni che siede sul soglio pontificio, è tempo di cambiare aria. Dai retta a me, non supererà l’estate.
– Espressioni del genere non ti si addicono, Olimpia. – rispose il cardinale, visibilmente turbato dalle affermazioni della donna – non credo che forzare la mia elezione a pontefice sia la strada giusta.
– Vedo che inizi a comprendere … ma dammi retta, non ci sarà bisogno di forzare proprio niente – sussurrò Olimpia all’orecchio del cognato.
Quando, dopo alcune ore, Giovanni Battista Pamphili lasciò il palazzo di Donna Olimpia, i pensieri si accalcarono vorticosamente nella sua mente.
Egli sapeva benissimo che la cognata era una donna molto ambiziosa che otteneva sempre quello che voleva, ma farla immischiare negli affari della Chiesa andava contro la sua morale; tuttavia, un valido appoggio economico gli avrebbe indubbiamente fatto comodo se si fosse rivelato necessario …
Il cardinale rimuginava freneticamente mentre tornava sui suoi passi, quando ad un certo punto la preziosa veste gli si impigliò in un arbusto; egli si abbassò per districarla ma nel tentativo l’ultima bollente goccia di cera gli cadde sulla mano; oramai a guidarlo nel freddo della notte era rimasta solo la lontana luce della luna.
Il 29 luglio 1644 Papa Urbano VIII morì.
Il 9 agosto si aprì il conclave.
Il 15 settembre, presso il palazzo Vaticano, Giovanni Battista Pamphili venne eletto papa con il nome di Innocenzo X.
Nei mesi successivi all’elezione di Papa Innocenzo X le voci si rincorrevano veloci in Vaticano. Chiunque avesse più o meno avuto a che fare con il nuovo pontefice non aveva potuto fare a meno di notare quella presenza così poco discreta che lo seguiva quotidianamente ovunque.
Donna Olimpia infatti era ormai diventata un’assidua frequentatrice degli ambienti del soglio di San Pietro: non rivestiva alcuna carica ufficiale, ma tutti sapevano che chiunque volesse avere un favore personale dal Pontefice o quantomeno un dialogo privato con lui doveva passare prima da lei.
Le chiacchiere si facevano di giorno in giorno sempre più fitte, addirittura i muri sembravano sussultare quando l’accurata crocchia di capelli corvini e la lunga veste nera varcavano gli ambienti del Vaticano; nessuno aveva il coraggio di ammettere che probabilmente il Pontefice e la cognata erano diventati amanti, ma allo stesso tempo nessuno osava smentirlo.
In breve tempo Donna Olimpia si era fatta un nome e una fama all’interno della Curia: temuta e rispettata, sempre più rilevante nelle decisioni di Innocenzo X, l’appellativo di papessa non tardò ad arrivare.
Il Papa dal canto suo si dimostrava sempre più insofferente al cospetto di quell’ “ingombrante” cognata; si sentiva sotto scacco, la sensazione di avere le mani legate gli stringeva la gola ogni giorno di più; egli sapeva benissimo che l’appoggio di Donna Olimpia era stato fondamentale per la sua elezione, ma adesso era giunto il momento di onorare il ruolo che Dio lo aveva chiamato a ricoprire. Se solo avesse trovato il modo di allontanarla da Roma …
Città del Vaticano, primavera 1645
– Buongiorno Giovanni, qual buon vento mi porta al tuo cospetto?
Una nuvola di tabacco fece irruzione nello studio privato del pontefice, che già da qualche ora lavorava alacremente. Innocenzo X amava svegliarsi molto presto al mattino, riteneva infatti che una mente fresca e riposata fosse la migliore alleata dei più grandi intellettuali.
– Sua Santità, per favore. Potresti evitare di fumare, almeno qui?
– Perché? Mi rilassa. – Rispose Donna Olimpia con nonchalance.
Il Pontefice scrutò attentamente gli occhi scuri e penetranti della cognata; quella viva luce in fondo alle sue iridi lo aveva sempre in qualche modo attratto e spaventato.
Non sapeva bene da dove cominciare, eppure quello che aveva da dirle era una cosa talmente semplice … Lui, persona di grandissima intelligenza e spessore culturale, si sentiva a disagio, forse per via di quelle gambe accavallate con così tanta naturalezza. Optò per un approccio diretto.
– Ti ho convocata perché ho deciso di farti un’importante concessione: a breve sarai nominata principessa di San Martino al Cimino.
Seguì un attimo di silenzio.
In quell’istante, forse per la prima volta nella sua vita, tutta la sfrontatezza e l’avidità che caratterizzavano la personalità di Donna Olimpia traballarono. Di fronte ad un uomo che aveva avuto l’onore di rivestire la massima carica a cui un ecclesiastico potesse aspirare, adesso c’era solo una donna non più giovane desiderosa di farsi valere e di mettere in campo le proprie abilità per rendere quel piccolo borgo da lei tanto amato un posto nuovo, una piccola gemma da far risplendere grazie alle sue possibilità e capacità. L’incanto si ruppe presto:
– Te ne sono davvero grata, ma sappi che non mi allontanerai da qui con questa mossa. Farò del mio meglio e investirò tanto su quel posto in rovina, ma la carica che ricopri appartiene tanto a te quanto a me; del resto, è solo per merito mio se tu sei seduto qui adesso, non dimenticarlo.
Innocenzo X non rispose. La cognata si alzò in piedi e a passo svelto lasciò lo studio.
Quando Donna Olimpia chiuse la porta il Papa si prese il viso tra le mani; sembrava tanto vecchio e stanco, eppure il suo pontificato era cominciato da così poco tempo.
In quello stesso anno Donna Olimpia venne nominata principessa di San Martino al Cimino e feudataria di Montecalvello, Grotte Santo Stefano e Vallebona.
Negli anni successivi Papa Innocenzo X onorò il suo incarico con diligenza, ma le visite di Donna Olimpia non cessarono mai; di fatto, egli ascoltò sempre le opinioni della sua “consigliera”.
Nel 1650 venne indetta la scomunica contro chiunque usasse il tabacco all’interno della basilica di San Pietro.
A partire dal 1645, San Martino al Cimino andò incontro ad una rinascita urbanistica ed architettonica senza precedenti. Donna Olimpia impiegò moltissimi dei suoi fondi per far uscire dall’oblio il piccolo borgo della Tuscia ed incaricò l’architetto Francesco Borromini di restaurare l’abbazia cistercense, edificio che le stava particolarmente a cuore; tuttavia, la costruzione che lega maggiormente la nobildonna viterbese al piccolo borgo è il Palazzo Doria-Pamphili, all’interno del quale visse molti anni.
San Martino al Cimino, Aprile 1647
Donna Olimpia aprì gli occhi ed iniziò a fissare il soffitto a cassettoni della sua stanza. Aveva avuto l’ennesima notte insonne per via di quella rabbia incessante che da giorni le consumava la mente. Il motivo era uno ed uno soltanto: suo figlio Camillo, avuto dal defunto marito Pamphilio, aveva improvvisamente deciso di abbandonare la toga cardinalizia per via di una giovane donna conosciuta alcuni mesi prima; diceva di volerla sposare perché si era innamorato di lei, la quale sembrava ricambiare.
Per la Maidalchini, furiosa ogni ora di più, la cosa più allucinante ed insopportabile di tutta questa situazione era il fatto che il Papa avesse già accettato la rinuncia del nipote ed approvato le nozze; per i due fidanzati rimaneva solo da ricevere la “benedizione” della madre del ragazzo, prevista proprio per quel giorno in cui Donna Olimpia si era alzata con il piede sbagliato.
Dopo poche ore, i due giovani fecero il loro trionfale ingresso nel Palazzo Doria Pamphili. Camillo era raggiante e la sua futura sposa ancor di più; Donna Olimpia indossava il consueto lungo abito nero e fumava.
– Buongiorno Madre. Sono qui giunto con la donna di cui tanto ti ho parlato, Olimpia Aldobrandini. Vorremmo umilmente chiederti la benedizione in vista della nostra unione.
I due ragazzi si guardarono e sorrisero l’uno all’altra. La Aldobrandini indossava un prezioso abito di stoffa rosa decorato con del pizzo bianco; i suoi capelli del colore del sole erano acconciati in graziosi ricci che le ricadevano delicatamente sulle spalle.
– Come Vi chiamate, cara? Temo di non aver capito bene. – sentenziò Donna Olimpia rivolgendosi alla ragazza.
– Olimpia, signora. Olimpia Aldobrandini. – rispose lei con voce ferma.
– Questo non me lo avevi detto, Camillo … Che curiosa coincidenza!
– Deve essermi sfuggito, Madre. Se potessimo procedere … – rispose lui impaziente e leggermente irritato.
– Ma quanta fretta … Sono sicura che la graziosa fanciulla qui presente gradisca un pasto caldo da consumare in tranquillità. – disse Donna Olimpia gettando un fugace sguardo ai due inservienti impettiti accanto alla porta.
– No, davvero, sono a posto, La ringrazio.
Il silenzio scese bruscamente nella stanza. Erano già diversi giorni che madre e figlio stavano ai ferri corti, ma in quel momento la tensione era palpabile più che mai.
– La mia risposta è no. Non acconsentirò mai a queste nozze.
La Maidalchini guardava con decisione il figlio negli occhi; la collera di Camillo montava ogni secondo di più. A quel punto fu lui a prendere la parola:
– Andiamo via, cara. – disse rivolto alla fidanzata – qui non abbiamo più nulla da fare.
– Aspetta un attimo, – replicò la Aldobrandini – devo dire una cosa a tua madre.
Donna Olimpia scrutò con incredulità e curiosità la ragazza.
– Non comprendo la Sua arroganza, signora Pamphili. Vengo da una famiglia nobile e ho un’ingente dote; amo Suo figlio e lui ama me; sono disposta a dargli una copiosa discendenza. Il Pontefice ha già acconsentito alle nozze; non accetterò che la presunzione e i pregiudizi di una nobildonna qualunque, anche se madre del mio futuro sposo, possano ostacolare quest’unione. Questo matrimonio si farà, con o senza il Suo appoggio.
Donna Olimpia era paonazza di rabbia, le tremava il labbro inferiore.
– Lasciate immediatamente il mio palazzo.
I due giovani si voltarono e se andarono; Donna Olimpia entrò nella sua stanza, sbatté la porta e si gettò sul letto; mentre guardava il soffitto a cassettoni le lacrime scendevano copiose sul suo viso. Il tabacco in bilico sul comodino cadde e si sparse sul pavimento.
Olimpia Aldobrandini e Camillo Pamphili si sposarono poco tempo dopo, con la necessaria dispensa del pontefice e senza l’approvazione di Donna Olimpia.
Innocenzo X in un primo momento, temendo forti contrasti tra le due Olimpie, mandò la coppia a vivere a Frascati; successivamente richiamò i due giovani a Roma, forse per arginare lo strapotere della Maidalchini all’interno della Curia con il carattere deciso di Olimpia Aldobrandini. Tuttavia egli non riuscì nel suo intento, poiché negli effettivi aspri scontri tra le due donne Donna Olimpia ebbe sempre la meglio sulla nuora e non tradì mai il suo appellativo di papessa.
Negli anni successivi Donna Olimpia continuò a spadroneggiare in Vaticano, anche grazie alla fondamentale complicità di Francesco Canonici, detto Mascambruno, funzionario della Curia e probabilmente amante della donna.
I cardinali, in particolare Domenico Cecchini e Fabio Chigi, cominciavano ad essere notevolmente stanchi della situazione e provati dalla asfissiante presenza della papessa.
Città del Vaticano, Marzo 1652
Il sole entrava dalla finestra e riscaldava i corpi nudi dei due amanti adagiati sul letto. Le curve della donna, non più sinuose come un tempo, erano avvolte da pesanti coperte; il braccio dell’uomo sdraiato accanto a lei le cingeva la vita.
– Allora, che ne pensi? – iniziò lui.
– Sono soddisfatta, – rispose Donna Olimpia – grazie a te sono riuscita a mettere le mani su quei documenti a cui puntavo da tempo. Mi sei costato un po’, ma ne è valsa la pena. Occhio a Cecchini, è un osso duro; ti ha già denunciato una volta, non mi sorprenderebbe se lo facesse ancora. Chigi non sono ancora riuscita ad inquadrarlo bene, ma credo sia abbastanza innocuo.
– Non si è mai al sicuro qui … perché non ce ne andiamo a San Martino, io e te? Lontano da questo posto, dimenticati da tutti. – disse Mascambruno.
– Io non voglio essere dimenticata.
L’uomo inghiottì la saliva con più vigore del normale.
– No, volevo dire … – riprese Mascambruno con difficoltà – non hai già ottenuto quello che volevi? Adesso è pericoloso stare qui, sospettano di noi.
– Forse sospettano di te, Francesco. Se vuoi andare vai, non puoi chiedermi di non tornare mai più e di rimanere rinchiusa nei miei possedimenti.
Donna Olimpia si alzò ed iniziò a vestirsi.
– Sii ragionevole, questa cosa verrà a galla e anche tu ne rimarrai danneggiata. Fidati di quello che ti dico, Olimpia … dobbiamo andarcene.
– Ho sentito abbastanza per oggi. – ripose lei, e se ne andò.
Francesco Mascambruno iniziò a pensare e a rimuginare freneticamente; aveva compreso la delicatezza della posizione in cui si trovava e questa consapevolezza gli levava il sonno e la sete.
Il cardinale Domenico Cecchini denunciò più volte Francesco Canonici al Pontefice, il quale però non prese mai seri provvedimenti nei suoi confronti per la ferrea resistenza di Donna Olimpia. Fu il cardinale Fabio Chigi, Segretario di Stato, a denunciare ai Tribunali gli atti illeciti compiuti dal Mascambruno; in quella situazione Innocenzo X non poté fare nulla e il funzionario che aveva tradito la Curia venne giustiziato il 14 aprile 1652.
Alla fine del 1654 era chiaro a tutti che il Pontefice aveva ormai i giorni contati; si era ammalato in estate e da allora il suo era stato un declino inesorabile.
Innocenzo X spirò il 7 gennaio 1655.
Il giorno seguente il clima che si respirava nelle stanze del Vaticano era molto dinamico: il conclave si sarebbe aperto di lì a poco, ma prima bisognava organizzare il funerale del Papa. In molti si rivolgevano a Donna Olimpia per chiederle le spese per la cerimonia, ma lei ogni volta rispondeva: “Che cosa può fare una povera vedova?”
Nelle ore successive al decesso, Donna Olimpia si fiondò nella stanza del Pontefice e raccolse tutto le sue cose accumulatesi lì nel corso degli anni. Il cadavere del cognato era ancora nel letto, non lo avevano portato via.
Doveva andarsene, sparire al più presto, o la situazione si sarebbe messa veramente male per lei ora che il suo più grande protettore era venuto a mancare.
Chi sarebbe stato il nuovo pontefice? Avrebbe acconsentito alla sua presenza in Vaticano? Le domande si accalcavano febbrilmente nella mente della papessa, ma ormai non c’era più tempo per le risposte.
Si mise carponi sul tappeto accanto al letto, sollevò il lembo di lenzuolo che frusciava a terra e allungò le braccia, estraendo da lì sotto due casse piene d’oro. Senza indugiare troppo le trascinò nella stanza accanto, dove aveva passato molte notti, con il preciso scopo di portarsele via appena possibile; fortunatamente non incontrò nessuno in corridoio. Fece dunque ritorno nella stanza del Papa, si avvicinò al suo cadavere e lo guardò intensamente sul volto rigido e tirato; gli accarezzò una guancia e sussurrò: “Arrivederci Giovanni”.
Il cardinale Chigi intanto passeggiava nella sua stanza; si affacciò pensieroso alla finestra e notò un carro stipato all’inverosimile lasciare a folle velocità le scuderie del Vaticano; di fronte a quella visione, non sapeva se nel suo animo far prevalere il sollievo o la rabbia.
Le spese per il funerale di Innocenzo X vennero coperte dal devoto maggiordomo e da un canonico dal momento che i parenti non ne volevano sapere; la sontuosa tomba che oggi possiamo ammirare nella chiesa di Sant’Agnese in Piazza Navona a Roma venne fatta costruire solo in un secondo momento da Camillo Pamphili.
Il 7 aprile 1655 Fabio Chigi venne eletto Papa con il nome di Alessandro VII e, tra i primi provvedimenti che prese, ci fu quello di esiliare in perpetuo dalla Città Eterna Donna Olimpia, la quale non poté fare altro che ritirarsi nei suoi possedimenti nella Tuscia e trascorrere lì il tempo che le era rimasto da vivere.
La Curia tentò di riprendersi le ricchezze accumulate dalla donna, ma fu tutto inutile.
La peste si portò via Olimpia Maidalchini nel 1657; la principessa di San Martino al Cimino è sepolta sotto la navata centrale di quella stessa abbazia che lei con grande zelo aveva fatto restaurare.
Si narra inoltre che ogni 7 gennaio, anniversario della morte del cognato pontefice, il fantasma della papessa corra per le strade di Roma nei pressi di Villa Pamphili su un carro in fiamme carico dei tesori da lei accumulati, per andare poi ad inabissarsi nel Tevere.
Ma questa, come si suol dire, è tutta un’altra storia …
La foto è di Gianni Ambrosini