Tanto tempo fa, in quel piccolo locus amoenus denominato Bolsena, dove il fascino del borgo si riflette sul lago, viveva una fanciulla di nome Cristina.
Ella era umile e devota al suo Signore, ma altrettanto non si può dire del suo scellerato padre Urbano; egli infatti, pagano governatore del posto, aveva in odio i cristiani e non c’era giorno in cui non ne mandasse qualcuno a morte.
Inevitabilmente, la profonda divergenza di vedute di padre e figlia sulla questione religiosa emerse presto.
Un giorno Cristina, incapace di voltare le spalle a dei poveri che le chiedevano l’elemosina, spezzò gli idoli d’oro e d’argento del genitore e li regalò a quegli sventurati. Urbano, che già sospettava da tempo che la fanciulla fosse un’ardente cristiana, dopo aver avuto conferma di ciò, la fece rinchiudere in una torre; l’uomo era folle di rabbia, poiché i suoi preziosi tesori erano andati perduti per mano della figlia convertita.
E dunque, dal momento che Cristina era irremovibile nella sua fede nonostante la prigionia e le preghiere dei parenti, le verghe non tardarono a colpire duramente la sua pelle.
Ma la ragazza non cedeva e negli occhi del padre ormai vedeva soltanto il demonio.
Allora egli la fece condannare alla tortura della ruota e del fuoco contemporaneamente, ma lei ne uscì illesa; stessa cosa accade quando venne gettata nel lago con un sasso appeso al collo. Quella stessa notte, dopo aver ordinato che la figlia fosse decapitata, Urbano venne trovato morto.
L’indomani il suo posto venne preso dal nuovo governatore Elio, della stessa stoffa del predecessore, e continuarono così le terribili pene di Cristina. Come prima cosa venne fatta immergere in un calderone bollente colmo d’olio, resina e pece, ma poiché la giovane donna continuava a lodare Iddio le venne fatto radere il capo e fu condotta nuda al tempio di Apollo: la statua del dio pagano si frantumò non appena Cristina vi giunse al cospetto e così il sovrano morì di paura.
Il nuovo governatore Giuliano fece accendere una fornace per gettarvi la fanciulla ma lei ne uscì dopo cinque giorni senza nemmeno una bruciatura; venne poi gettata nella fossa dei serpenti, le fu tagliata la lingua, le furono strappate le mammelle, ma nulla di tutto ciò pose fine alla vita di Cristina.
Poco prima che il martirio con le frecce avesse inizio, ella si rivolse al Signore e pregò che le sue pene giungessero a termine; dunque, quando vennero scoccate le frecce che le trafissero il cuore e il fianco, l’anima di Santa Cristina salì al cielo.
Il martirio di Santa Cristina viene rievocato a Bolsena ogni anno nella sera del 23 luglio e procede con la mattina del 24; grazie all’operato dei tanti figuranti e del duro lavoro degli abitanti del posto, le piazze del borgo diventano un suggestivo teatro delle rievocazioni storiche di ogni tortura patita dalla Santa. Prende così vita uno spettacolo unico e imperdibile, alimentato da tradizione e dedizione.
La foto è tratta dal sito www.ilturista.info