Ci sono di luoghi di Viterbo che è imprescindibile visitare, sia per un turista curioso che per un cittadino qui nato e cresciuto?

Secondo noi sì, due sono i posti di Viterbo che è necessario conoscere poiché simbolo delle anime che contraddistinguono la storia di questa città, proprio per ragioni storiche conosciuta anche come ”la Città dei Papi”. Questi due luoghi sono Piazza San Lorenzo ed il Palazzo dei Papi, la cifra sacra della città, e Piazza del Plebiscito con Palazzo dei Priori, l’anima profana. Oggi iniziamo il nostro percorso proprio da qui.

I viterbesi scoprono che la piazza centrale della città si chiama correttamente “del Plebiscito” di solito intorno ai 12/13 anni; prima la si è sentita chiamare dai propri concittadini “Piazza del Comune” poiché questo è il cuore istituzionale della città di Viterbo. Il nome attuale della piazza gli deriva dal plebiscito che sancì l’unione di Viterbo e della sua provincia al neonato Regno d’Italia. Era il 2 ottobre 1870, appena 12 giorni dopo la breccia di Porta Pia e la presa di Roma, e 4284 votanti viterbesi su 4541 scelsero di far tramontare definitivamente sulla Città dei Papi il potere pontificio.

La storia della piazza e del Palazzo che più la rappresenta ha inizio però molto tempo prima; dobbiamo tornare infatti agli ultimi anni dell’XI secolo per scovare le origini delle motivazioni che spinsero alla demolizione dell’antico cimitero di sant’Angelo e delle molte abitazioni del circondario. Viterbo all’alba dell’anno 1000 è una florida cittadina, libero comune, che sta velocemente diventando una potenza politica importante, la cui economia -e la cui popolazione- cresce velocemente. All’epoca i pubblici magistrati che amministrava il potere si affacciavano dai palazzi istituzionali concentrati in Piazza San Silvestro –oggi la conoscete come Piazza del Gesù, quel luogo sarà storia per un prossimo appuntamento- ma è ben facile capire come quella sistemazione, in quel piccolo spazio, non fosse più bastevole per una cittadina che cresceva così velocemente. Sembrò chiaro quindi che si dovesse creare una piazza intera circondata dagli edifici pubblici e si scelse un’area nota come Prato Cavallucolo, dove era ospitato il cimitero della Chiesa prospiciente, quella di Sant’Angelo in Spatha. Potrete immaginare le contestazioni dei canonici della piccola Chiesa ma fu il Papa in persona Clemente IV a porre fine alla diatriba, autorizzando gli amministratori del Comune a procedere con i lavori. Vennero così eretti i due palazzi ai lati della piazza, quello del Delegato Apostolico (oggi sede della Prefettura) e quello del Potestà. Palazzo dei Priori è posteriore di almeno due secoli rispetto a questi primi due ed i lavori di costruzione furono lunghi, spesso interrotti per le ristrettezze economiche fino a quando Papa Sisto IV non permise che una parte delle imposte riscosse fosse devoluto al Comune per completare i lavori. È per questo che sulla facciata svetta lo stemma della famiglia Della Rovere (alla quale in Pontefice apparteneva). Il Palazzo fu riccamente e minuziosamente decorato, in una vera e propria esplosione di sfarzo, che potesse però essere anche rassegna degli episodi cardine della storia della città.

La visita a Palazzo solitamente comincia dall’accesso al grande cortile interno, al quale si accede grazie al portone posto proprio al centro del porticato. È questo un luogo solitamente di ritrovo per i viterbesi, che possono passare qui qualche ora davanti alla bella vista che si apre su tutta la Valle di FAVL. Proprio davanti alla balaustra c’è l’elegante fontana del ‘600, opera di Filippo Caparozzi. Sulla sommità della fontana uno dei simboli della città, il gruppo bronzeo dei due leoni rampanti poggiati alla Palma di Ferento, a ricorda della sconfitta e relativa conquista della vicina e prosperosa cittadina etrusco-romana.

Grazie ad un ampio scalone si accede poi al primo piano; alla nostra destra troviamo quindi la Cappella Palatina: I primi lavori per la realizzazione iniziarono nel 1599. Secondo gli storici, a partire dal 1610, furono avviati gli interventi per decorare ed abbellire la Cappella. Entrando all’interno di questo piccolo gioiello si possono scoprire tanti tesori: un elegante soffitto ligneo, intagliato e dorato con estrema cura, e numerosi affreschi. I quattro affreschi che narrano le storie della Vergine, sono del viterbese Filippo Caparozzi e del romano Marzio Ganassini. Ad attirare l’attenzione del visitatore, nella parte superiore della parete d’ingresso, si trova una cornice con i santi ed i beati viterbesi. Osservando la parete a destra è possibile ammirare lo stemma con la rappresentazione del martirio di San Lorenzo, protettore della città e, dal lato opposto, ciò che resta di un altro stemma che raffigura la Chiesa di Sant’Angelo. La pala d’altare raffigura la Visitazione del grande pittore viterbese Bartolomeo Cavarozzi.

È invece alla nostra sinistra che finalmente si accede al vero e proprio piano signorile, tutto riccamente decorato, e che ora andremo a scoprire insieme: ecco aprirsi la prima sala, quella dedicata alla Madonna della Quercia. è lunghissima la tradizione che lega Viterbo al culto della Madonna dipinta sulla tegola e venerata nel più importante santuario mariano della città, quello della Basilica della Quercia.

Tutti gli affreschi della sala sono dedicati alla Vergine, con un particolare riferimento ai miracoli della Madonna della Quercia. Il ciclo degli affreschi è datato intorno alla fine del XVI secolo. L’affresco nella lunetta è il più antico e raffigura la Madonna con bambino tra i Santi Giovanni Battista e Lorenzo.

Dedicate un po’ di tempo ad osservare il grande affresco che troverete nella sala. Nell’opera è raffigurata la processione al Santuario della Quercia, raccontata da Niccolò della Tuccia, e sancisce quel Patto d’amore tra Viterbo e la Madonna che, da allora, si ripete ogni anno.

Osservando con attenzione le opere d’arte potrete comprendere i motivi di una così profonda devozione dei cittadini nei confronti della Madonna della Quercia. Un altro episodio raffigurato, infatti, mostra il pellegrinaggio di ringraziamento dopo la liberazione della città dall’invasione delle cavallette.

Si passa poi finalmente alla Sala Regia, la vera punta di diamante del palazzo, splendidamente impreziosita da affreschi in ogni sua parte. Alla fine del’ 500 risale la decorazione delle pareti, opera del bolognese Baldassarre Croce, allievo nientepopodimeno che di Annibale Carracci. Inizia ora una sequela di sei grandi riquadri i cui soggetti da rappresentare furono scelti sulla base delle fantasiose teorie formulate dal celebre dotto domenicano Giovanni Nanni, conosciuto come Annio da Viterbo, umanista, letterato, filologo, orientalista ed effervescente falsario. Nei suoi Commentari egli volle glorificare la proprio città, propose quindi un intricatissimo intreccio tra genealogie bibliche e miti greci, fondendoli con le effettive radici etrusche del territorio. Annio riporta le origini di Viterbo nient’altro che a Noè, al quale attribuisce la costruzione dei quattro castelli di Fanum, Arbanum, Vetulonia e Longula, la leggendaria tetrapoli viterbese il cui acrostico Favl è tutt’oggi parte dello stemma cittadino. Aggiunge poi al mix la venuta di Ercole, edificatore del castrum, primigenio nucleo della città da lui chiamata Etursia, traversata dai fiumi Urgionus e Paratussus (Urcionio e Paradosso, vi dicono niente?). Interessanti per la storiografia iconografica della sala risultano anche i busti di cardinali ed abati di origine viterbese, tra cui quello di Raniero Capocci, il grande antagonista dell’imperatore Federico II Barbarossa, o quello di Michele imperatore di Costantinopoli, la cui famiglia si considerava originaria proprio di Viterbo. Non dimentichiamo poi i due trompe l’oeil ai lati, due inservienti del Comune che si sporgono sulla soglia di finte porte. Questi ritratti sono da poco riemersi, grazie ad un importante restauro realizzato tra il 1996 ed il 1999. Alziamo ora gli occhi, per lasciarsi impressionale dal notevolissimo soffitto a cassettoni realizzato dal bagnaiolo Tarquinio Ligustri, 33 lacunari nei quali vengono rappresentati i castelli sui quali si estendeva all’epoca il dominio di Viterbo. Curioso notare come l’unico che rappresenti la realtà sia quello di Bagnaia, l’unico vero castello conosciuto dal Ligustri. Gli altri sono da intendere come rappresentazione della fantasia dell’artista e dai racconti che gli venivano fatti. Al centro infine campeggia il leone di Viterbo, con la stringa SPQV, e la data di realizzazione.

Passiamo quindi alla Sala del Consiglio, il vero cuore della politica viterbese, è infatti su questi banchi del ‘600 che si fanno tutt’oggi le sedute del Consiglio Comunale. Su tutte le nicchie della Sala sono raffigurati, attraverso un sapiente gioco di chiaroscuri e prospettiva, personaggi mitologici e storici che sono stati protagonisti della vita e delle vicende del territorio dalla più remota antichità ai primi secoli del Medioevo. Tra questi riconosciamo Ercole, personaggi etruschi come Tirreno o Tarconte, il longobardo Re Desiderio, Carlo Magno ed il figlio Pipino, lo stesso Annio da Viterbo. Sopra gli scranni del sindaco e della giunta motti latini che esortano al buon governo della cosa pubblica. Ci si avvia quindi verso le ultime due, stavolta più piccole, sale del Piano nobiliare. Entriamo in quella dei Paesaggi –o delle Bandiere- , che purtroppo non presenta più tracce di affreschi antichi. La ragione va ricercata nel restauro, eseguito nel XVIII secolo, e che ha visto eseguire nuovi affreschi dal pittore Giuseppe Torriani. Le opere rappresentano paesaggi, scene di guerra e di caccia. Una curiosità: il pilastrino centrale mobile di questa finestra, che viene rimosso per consentire ai personaggi illustri in visita alla città di godere il meglio possibile della visione della Macchina di Santa Rosa che scende da Piazza Fontana Grande, lungo Via Cavour. È questo il punto più bello di tutta la città da cui osservare la Macchina. Si arriva infine al piccolo corridoio-Pinacoteca, quello che per primo avreste veduto se foste entrati da Via Ascenzi. La collezione qui esposta –proveniente dall’Accademia degli Ardenti, fondata nel 1480 dal letterato viterbese Sante Cesara allo scopo di divulgare la conoscenza letteraria- è composta da ritratti eseguiti tra il XVIII ed il XIX secolo a pontefici o amministratori del Comune che erano legati anche all’Accademia.

E così, amici, si conclude il primo di questi quattro appuntamenti che ci vedranno portarvi virtualmente in alcuni dei luoghi più belli della nostra città. Palazzo dei Priori è attualmente non visitabile a causa dell’emergenza che stiamo vivendo ma presto tonerà ad esserlo ed è nostro dovere e diritto respirare questa bellezza, che è una delle poche cose che potrà salvare il mondo. Ci vediamo quindi per Santo Stefano, sempre su questi schermi ma alle ore 16, per la visita all’Orto del Belvedere, uno dei più spettacolari di tutta Viterbo J

Anonimo

Scritto da:

Viola Vagnoni

Nella vita vorrei fare tre cose: dormire, mangiare e vedere/leggere fiction.
Se però mi trovate qui vuol dire che ne ho aggiunta una quarta ovverosia scrivicchiare.
Mi pare lapalissiano che non volevo farlo ma la vita è per la maggior parte composta da cose che non si vogliono fare.
Ci sono poi state anche altre aggiunte fastidiose alla sacra triade: una laurea in filologia moderna, un lavoro a tempo pieno, una casa da gestire (male), la fantasticheria buffa di voler fare la professorona.
Ma chi me lo fa fare di alzarmi la mattina, guardate.